Così in terra
Davidù è cresciuto a Palermo in una famiglia di pugili, accudito dalla madre Zina, dalla nonna Provvidenza, dal nonno Rosario e dallo zio Umbertino. Il padre, morto prima della sua nascita, era detto il Paladino, uno spettacolo sul ring, elegante, composto, preciso, agile, con un’armatura tra sé e il mondo a proteggerlo nei combattimenti quanto nella vita.
Trascorre le sue giornate in una Palermo degli anni ’80, Davidù, sporca, violenta, dove la mafia ammazza per le strade e devi imparare ad arrangiarti e a difenderti, altrimenti fai la fine di Gerruso, il ragazzino costretto a subire l’arroganza dei più prepotenti. A risse e sparatorie si alternano momenti teneri: l’amore per Nina e i racconti del passato di nonna Provvidenza. A soli nove anni Davide inizia il suo percorso da pugile. Il Poeta lo chiamano, seguito dal maestro Franco nella palestra dello zio Umbertino, pugile anche lui dalla forza micidiale, capace di eccessi fisici e verbali, eppure spassoso e di una umanità profonda, quasi dolcissima, che si contrappone alla sua irruenza. È lui il guardiano della storia del nipote e, insieme ai nonni, custode delle memorie famigliari che attraversano le vicende di Palermo e d’Italia: dalla guerra in Africa combattuta dal nonno Rosario, alle bombe che sventrano la città negli anni della Seconda guerra mondiale e poi a quelle più recenti delle stragi mafiose del ’92 che ne cambiano il volto per sempre.
Da storia di famiglia a storia universale, con un filo narrativo che corre indietro e avanti nel tempo, così come la danza del pugile sul ring, un romanzo che si legge d’un fiato in grado di toccare le corde più intime e muovere al sorriso così come al pianto, mentre dosa, in un linguaggio composto e scomposto nello stesso tempo, comico e tragico, crudo realismo e astrazione onirica.